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Capire e interpretare gli esami del sangue

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view post Posted on 19/4/2011, 00:16

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Capire e interpretare gli esami del sangue



Capire e interpretare gli esami di laboratorio è compito del medico. I valori dei test ematici, infatti, molto raramente dicono qualcosa di significativo se considerati singolarmente. Possono dare indicazioni attendibili solo se letti nel loro insieme e interpretati in base alle caratteristiche della persona per la quale sono stati richiesti dal medico.

Lo scopo delle informazioni che si possono trovare in questa pagina e in quelle correlate non è quindi di indurre a una lettura «fai da te» (inutile e persino potenzialmente pericolosa) dei parametri che si possono trovare sul referto del laboratorio, ma piuttosto di fornire una base culturale per capirsi meglio col medico, e prepararsi, eventualmente, a fargli le domande giuste.



ESAMI PER IL RENE

Azotemia


Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione di azoto non proteico nel sangue, cioè la concentrazione di urea nel sangue. L’urea è un composto di scarto che deriva dalla degradazione delle proteine. È prodotta dal fegato e rilasciata nel sangue, per poi essere filtrata dai reni ed eliminata con le urine. L’azotemia indica la funzionalità dei reni. Valori diversi da quelli di riferimento segnalano un’imperfetta depurazione del sangue da parte dei reni.

Quando e perché il test è indicato
Insieme al test della creatinina, l’azotemia fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per controllare la funzione renale. L'esame è indicato:
1. per coloro che lamentano un malessere non specifico;
2. per i soggetti che mostrano segni o sintomi di qualche alterazione renale;
3. per vedere se i reni funzionano prima di iniziare alcune terapie farmacologiche;
4. prima e durante i ricoveri ospedalieri;
5. per accertare l’efficacia della dialisi o di altri trattamenti in pazienti con malattie renali croniche e acute;
6. per le persone che soffrono di malattie croniche come il diabete e lo scompenso cardiaco (controlli a intervalli regolari).

Come si fa il test
È sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali
I valori di riferimento sono: 10-50 mg/dl, con una variabilità che dipende dall’età e dal sesso. Nei bambini molto piccoli i valori sono circa il 60 per cento di quelli degli adulti; negli anziani (dopo i 60 anni) aumentano lievemente. Nelle donne si osservano in genere valori un poco più bassi rispetto agli uomini.

Come interpretare i risultati dell’esame
La maggior parte delle malattie dei reni o del fegato possono alterare i livelli di urea nel sangue. Infatti l’azotemia aumenta se il fegato produce più urea o se i reni ne filtrano meno. Valori superiori a quelli normali possono essere causati da malattie renali acute o croniche, da qualsiasi causa di ostruzione delle vie urinarie (calcoli) o da un ridotto flusso di sangue ai reni dovuto per esempio a scompenso cardiaco, shock, ustioni, traumi, emorragie. Anche altre condizioni possono far aumentare l’azotemia: una dieta ricca di proteine, il digiuno, alcune malattie infettive gravi (leptospirosi, tubercolosi renale, pielonefrite), la cirrosi, la gotta, le emorragie intestinali. Valori inferiori a quelli normali non sono molto comuni; possono essere causati da alcune malattie del fegato (epatiti), da un eccesso di idratazione, da una dieta povera di proteine o da malnutrizione. L’azotemia non è comunque utilizzata per diagnosticare o seguire queste condizioni.

Informazioni aggiuntive
Oltre ai due esami dell’azotemia e della creatinina, per valutare la funzionalità renale il medico può prescrivere anche i cosiddetti esami degli elettroliti, che misurano le concentrazioni di alcune particelle cariche chimicamente nel sangue (ioni), come sodio, potassio e calcio. Talvolta il medico valuta il rapporto tra azotemia e creatinina presente nel sangue, per capire meglio le cause di un aumento dei due parametri. Il rapporto è di norma compreso tra 10:1 e 20:1. Un rapporto più basso potrebbe essere dovuto a un ridotto flusso di sangue ai reni (scompenso cardiaco, disidratazione), a emorragie gastrointestinali o a diete iperproteiche. Invece, una riduzione del rapporto può essere causata da una malattia del fegato o da malnutrizione.

Creatininemia


Bambini con meno di 2 anni 0,3-0,6 mg/dl
Uomini 0,7-1,2 mg/dl
Donne 0,6-1,2 mg/dl


Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione della creatinina nel sangue. La creatinina è un prodotto di scarto che deriva dal muscolo e viene riversato nel sangue. Essa viene filtrata dai reni ed è poi eliminata dal corpo attraverso le urine. Per questo la creatinina è usata come indice della funzionalità renale: infatti se i suoi livelli nel sangue aumentano, significa che i reni non riescono a farla passare nelle urine e quindi non svolgono bene il loro lavoro.

Quando e perché il test è indicato
Il test della creatinina rientra negli esami che vengono prescritti di routine. L’esame è indicato per individui che hanno problemi di salute generici e nei casi di sospetta alterazione della funzionalità renale. Inoltre l’esame della creatinina viene utilizzato in coloro che soffrono di disturbi renali sia per tenere sotto controllo la progressione della malattia, sia per accertare l’efficacia dei farmaci adottati. Anche nelle persone dializzate la creatinina viene misurata con una certa frequenza.

Come si fa il test
È sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Come interpretare i risultati dell’esame
Un aumento della creatinina nel sangue rispetto ai valori normali indica soprattutto malattie a carico dei reni come: insufficienza renale, infezioni batteriche, ingrossamento o danno dei vasi renali (glomerulonefriti), malattie della prostata, calcoli renali e un ridotto flusso di sangue ai reni dovuto a scompenso cardiaco, arteriosclerosi o diabete. Anche altre condizioni possono produrre aumenti della creatinina nel sangue: poliartrite, una dieta ricca di proteine, eccessi sportivi, ingestione di creatina esogena con la dieta, traumi muscolari, ipertiroidismo. Una diminuzione rispetto ai valori normali può invece essere causata da: anemie, atrofia muscolare, ipotiroidismo, carcinoma prostatico, leucemia, gravidanza.

Informazioni aggiuntive
Oltre a misurare la creatinina sierica, cioè quella presente nel sangue, è possibile determinare anche quella contenuta nelle urine. Il test della creatinina urinaria viene effettuato su un campione di urine raccolte nelle 24 ore. Di solito la raccolta inizia la mattina, appena svegli, e continua per tutta la giornata fino alla mattina successiva.

I valori normali della creatinina urinaria sono 0,8 g per 24 ore e dipendono dalla massa muscolare. Alcuni antibiotici alterano i livelli di creatinina nel sangue: gli aminoglicosidi la aumentano e possono produrre danni renali, mentre le cefalosporine la aumentano, senza però causare alcun danno renale.



EMOCROMO

Che cosa si misura - L’emocromo è anche definito esame emocromocitometrico, che letteralmente significa misurazione del colore del sangue e del numero delle sue cellule. Di fatto questo esame consente di determinare:

■ il numero di tutte le cellule del sangue, cioè globuli rossi (eritrociti), globuli bianchi (leucociti) e piastrine (trombociti);

■la formula leucocitaria, ossia la percentuale dei diversi tipi di globuli bianchi: neutrofili, linfociti, monociti, eosinofili e basofili;

■la concentrazione dell’emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno ai vari tessuti del corpo;

■l’ematocrito,che è il volume di globuli rossi contenuto in 100 ml di sangue: per esempio, se l’ematocrito è 40 significa che ci sono 40 ml di globuli rossi in 100 ml di sangue;

■l’analisi delle caratteristiche fisiche (forma, dimensioni) dei globuli rossi e delle piastrine. Queste sono indicate da speciali parametri come MCV (misura delle dimensioni medie di un globulo rosso), MCH (indica la quantità media di emoglobina contenuta in un globulo rosso), MCHC (indica la concentrazione di emoglobina in un globulo rosso), RDW (indica le variazioni delle dimensioni dei globuli rossi) e MPV (misura delle dimensioni medie di una piastrina).

■Quando e perché il test è indicato - L’emocromo è l’esame del sangue più eseguito. Serve a valutare lo stato di salute generale e a determinare la presenza di alcune malattie, soprattutto anemie e infezioni. Viene quindi prescritto a soggetti sani come esame di routine, a individui che manifestano sintomi tipici dell’anemia (stanchezza e affaticamento) e in coloro che sono affetti da infezioni ricorrenti, infiammazione, prurito, emorragie. In questo modo il medico può accertare i suoi sospetti ed eventualmente prescrivere esami più approfonditi per stabilire una diagnosi precisa di malattia.

■Come si fa il test - L’emocromo può essere eseguito su un campione di sangue prelevato dalla vena di un braccio. Sono sufficienti anche poche gocce di sangue prelevato con un piccolo ago dalla punta di un dito o da un piede (nei neonati).

Globuli rossi

Valori normali uomo 4,4-5,6 milioni/microlitro
Valori normali donna 3,9-4,9 milioni/microlitro
Se aumentano: produzione in eccesso, perdite di liquidi (diarrea, ustioni, disidratazione), malattia cardiaca congenita
Se diminuiscono:anemia, emorragie, malattie renali, malnutrizione, carenze di ferro e vitamine B6, B9 e B12

Elettroforesi delle proteine plasmatiche

Proteina plasmatica

albumina valori normali: 3,6-4,9 g/dl

se aumenta: disidratazione, vomito,diarrea, eccessiva sudorazione
se diminuisce: malnutrizione, digiuno prolungato, malassorbimento, malattie renali ed epatiche, alcolismo, ustioni, infiammazioni, ipertiroidismo, gravidanza


alfa1 globuline valori normali: 0,2-0,4 g/dl

se aumenta: malattie infiammatorie croniche, malattie infettive, infarto cardiaco, assunzione pillola contraccettiva, gravidanza
se diminuisce: malattie epatiche gravi, una malattia ereditaria rara chiamata enfisema congenito, malattie renali


alfa2 globuline valori normali 0,4-0,8 g/dl

se aumenta: malattie renali, malattie infiammatorie croniche e acute, infezioni, infarto cardiaco, sindrome di Down, diabete, alcuni tumori maligni
se diminuisce: malattie epatiche gravi, diabete, ipertiroidismo, rottura dei globuli rossi (emolisi), artrite reumatoide


beta globuline valori normali 0,6-1 g/dl

se aumenta: anemia da carenza di ferro, alcuni casi di mieloma multiplo, ipercolesterolemia (elevati livelli di colesterolo nel sangue), gravidanza se diminuisce: malnutrizione, cirrosi


gamma globuline valori normali 0,9-1,4 g/dl

se aumenta: alcune malattie del sistema immunitario dette gammopatie (MGUS), mieloma multiplo, malattie epatiche croniche (epatite, cirrosi), infezioni, alcuni tumori, artrite reumatoide, lupus
se diminuisce: alcune malattie ereditarie del sistema immunitario

Che cosa si misura
L’elettroforesi del plasma è una tecnica che analizza le proteine presenti nel plasma, cioè la parte liquida del sangue. Con questo esame vengono separate ed esaminate le seguenti proteine: l’albumina, la più abbondante, le alfa1 globuline, le alfa2 globuline, le beta globuline e le gamma globuline. Alcune proteine plasmatiche sono prodotte dal fegato, mentre altre vengono rilasciate nel sangue da cellule che fanno parte del sistema immunitario, il sistema di difesa naturale dell’organismo. Le proteine plasmatiche sono indicatori molto importanti, perché alterazioni delle loro concentrazioni possono mettere in luce un gran numero di malattie.

Come si fa il test
L’esame viene eseguito su un campione di plasma. Per ottenerlo si effettua un prelievo di sangue dalla vena di un braccio e si separa la frazione contenente le cellule da quella liquida. Prima di effettuare il prelievo è necessario un digiuno di 10-12 ore. Inoltre, si sconsiglia di sottoporsi all’esame se si è in trattamento con un antibiotico, perché questo potrebbe alterare i risultati.

Quali sono i valori normali e come interpretare i valori anomali
La concentrazione normale delle proteine plasmatiche totali è 6-8 g/dl.

Emoglobina

Valori normali uomo 13-18 g/dl
Valori normali donna 12-16 g/dl
se aumenta: disidratazione, eccessiva produzione di globuli rossi (policitemia), gravi malattie polmonari
se diminuisce: malattie ereditarie (talassemie, anemia falciforme), carenza di ferro e vitamine B6, B9 e B12, emorragie, eccessiva distruzione dei globuli rossi (emolisi), anemie, malattie renali, cirrosi epatica


RDW

Valori normali 11-15 %
se aumenta: un suo aumento può indicare la presenza di globuli rossi di forme diverse.

MCV

Valori normali 81-96 micrometri al cubo
se aumenta: carenza di vitamine B9 e B12
se diminuisce: carenza di ferro, talassemie


Ematocrito

Valori normali uomo 40-54 %
Valori normali donna 36-52 %
se aumenta: disidratazione, eccessiva produzione di globuli rossi (policitemia) causata da malattie del midollo osseo, da disturbi polmonari o da farmaci che stimolano la produzione di globuli rossi
se diminuisce: anemie, soprattutto da carenza di ferro, emorragie, carenza di vitamine e altri minerali, cirrosi epatica



MCHC

Valori normali 31-36 g/dl
Se aumenta disidratazione, aumento dell’emoglobina
Se diminuisce quando diminuisce MCV


Globuli bianchi

globuli bianchi valori normali: 4-10,8 mila/microlitro
se aumentano: infezioni, infiammazione, leucemie, traumi, stress
se diminuiscono: malattie autoimmuni, infezioni gravi, malattie del midollo osseo, assunzione di alcuni farmaci (metotrexato)

neutrofili valori normali: 40-75 %
se aumentano: infezioni batteriche e fungine, malattie infiammatorie, alcuni tipi di leucemia
se diminuiscono: infezioni gravi, chemioterapia

linfociti valori normali 20-45 %
se aumentano: Infezioni, infiammazione
se diminuiscono: malattie del sistema immunitario (lupus), stadi terminali dell’AIDS

monociti valori normali:3-7 %
se aumentano: infezioni virali, alcuni tipi di leucemie e tumori del midollo osseo, radioterapia
se diminuiscono: alcune malattie del midollo osseo, alcuni tipi di leucemie

eosinofili valori normali: 1-5 %
se aumentano: allergie, infezioni di parassiti, scarlattina
se diminuiscono: insufficienza renale cronica, shock anafilattico, traumi, interventi chirurgici, uso di farmaci cortisonici


basofili valori normali 0-1 %
se aumentano: alcuni tipi di leucemie, infezioni croniche, reazioni allergiche verso gli alimenti e in seguito a radioterapia



ESAMI PER IL FEGATO


Bilirubina

Bilirubina totale 0,2-1 mg/dl
Bilirubina indiretta 0,2-0,8 mg/dl
Bilirubina diretta 0-0,2 mg/dl

Che cosa si misura - L’esame misura la concentrazione di bilirubina nel sangue. La bilirubina è una sostanza che deriva prevalentemente dalla demolizione dell’emoglobina, la proteina che lega l’ossigeno nei globuli rossi. Ogni 120 giorni i globuli rossi vengono rinnovati e l’emoglobina viene degradata, dando origine alla bilirubina; per essere eliminata, la bilirubina dev’essere trasformata da alcune reazioni che hanno luogo nel fegato. Ma se il fegato si ammala o se vengono distrutti globuli rossi in eccesso, la bilirubina nel sangue aumenta e ciò causa ittero, una condizione caratterizzata dal tipico colorito giallastro della pelle e del bianco degli occhi. Della bilirubina totale presente nel sangue si possono distinguere due frazioni: la bilirubina indiretta (non ancora trasformata dal fegato), che rappresenta la frazione più cospicua, e quella diretta (già trasformata dal fegato). La bilirubina diretta viene poi riversata nell’intestino dove la flora batterica ne favorisce la degradazione, convertendola in composti che vengono eliminati con le feci.

Quando e perché il test è indicato - Questo esame è indicato per determinare la presenza di una malattia del fegato (cirrosi, epatite, calcoli biliari) e per seguirne la progressione. In genere il medico prescrive il test della bilirubina in associazione ad altri esami di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina e transaminasi AST e ALT), alle seguenti categorie:
1. pazienti che manifestano segni o sintomi di danno epatico (ittero, nausea, urine scure, dolori addominali, fatica e malessere generale);
2. coloro che abbiano avuto una storia di alcolismo;
3. individui con sospetta esposizione ai virus dell’epatite.

Nei neonati la misurazione della bilirubina è considerata una pratica di routine. Infatti, nei primi tre giorni di vita, la maggior parte dei bambini manifesta una forma di ittero, l’ittero fisiologico, perché il loro sistema epatico di degradazione dell’emoglobina non è ancora del tutto sviluppato. Tuttavia questa situazione si risolve da sola entro pochi giorni. In alcuni casi, però, l’ittero del neonato può essere dovuto a un’eccessiva degradazione dei globuli rossi causata dall’incompatibilità del suo gruppo Rh con quello della madre. In questa evenienza è necessario tenere controllati i livelli di bilirubina, perché nelle prime 2-4 settimane di vita essa può essere tossica per il sistema nervoso.

Come si fa il test - Negli adulti si effettua un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Nei neonati, invece, si utilizza una specie di ago che, inserito nel piede, consente di raccogliere in un piccolo tubo qualche goccia di sangue.

Come interpretare i risultati dell’esame
- Un eccesso dibilirubina indiretta può essere dovuto a: 1. un’aumentata distruzione dei globuli rossi (emolisi), che si verifica nell’anemia emolitica, o altri difetti della produzione dell’emoglobina (talassemia, anemia perniciosa e falciforme);
2. alcune malattie ereditarie che alterano la capacità del fegato di convertire la bilirubina indiretta in quella diretta, come le sindromi di Gilbert e Crigler-Najjar;
3. ittero fisiologico dei neonati e dei prematuri e reazione di incompatibilità tra Rh materno e quello del neonato;
4. effetto collaterale di alcuni farmaci come steroidi e rifampicina (un antibiotico usato per la cura della tubercolosi).

- Un aumento dellabilirubina diretta può dipendere da:
1. alcune malattie ereditarie come le sindromi di Dubin-Johnson e Rotor; 2. malattie del fegato come cirrosi, epatiti virali ed epatite tossica;
3. ostruzioni delle vie biliari dovute per esempio a calcoli o tumori del fegato o del pancreas;
4. effetto collaterale di alcuni tipi di farmaci come: pillola anticoncezionale, alcuni tipi di antibiotici (tetracicline), steroidi, antinfiammatori non steroidei (FANS).

- Una diminuzione dei livelli di bilirubina totale, indiretta e diretta può invece essere causata da:
1. alcuni tipi di anemie (aplastica, sideropenica);
2. assunzione di certi sedativi, i barbiturici.





Fosfatasi alcalina

Adulti 50-190 U/L*
Adolescenti 10-15 anni 130-700 U/L*
Bambini 1-10 anni 110-550 U/L*
Bambini fino a 1 anno 110-700 U/L*


Che cosa si misura
L’esame consente di misurare la concentrazione della fosfatasi alcalina (AlPh) nel sangue. La AlPh è un enzima presente in diversi tessuti del corpo. In particolare, essa si trova nelle ossa e nelle cellule del fegato che formano i dotti biliari (i canalicoli che trasportano la bile all’intestino dove è necessaria per la digestione dei grassi). Sebbene in concentrazioni inferiori, la AlPh è presente anche nelle cellule intestinali e nella placenta. Tutte queste parti del corpo producono forme diverse di fosfatasi alcalina, che sono definite isoenzimi. La AlPh è presente anche nel sangue, ma a livelli bassi; in caso di malattie del fegato o delle ossa essa può aumentare.

Quando e perché il test è indicato
L’esame è usato per evidenziare malattie del fegato (soprattutto delle vie biliari) e delle ossa, per seguirne la progressione o per valutare l’efficacia di un eventuale trattamento terapeutico. Il medico prescrive il test della AlPh come parte degli esami di funzionalità epatica che vengono effettuati di routine (bilirubina, transaminasi AST e ALT), oppure quando il paziente presenta i sintomi di un disturbo epatico o osseo.

Come si fa il test
Basta un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Il digiuno è consigliato, ma non necessario, poiché AlPh aumenta, ma solo lievemente, nelle ore successive a un pasto. I valori della AlPh nel sangue variano a seconda dell’età. In particolare, nei bambini piccoli e negli adolescenti, essa aumenta per effetto della crescita delle ossa. Nella tabella sono riportati i valori normali per le diverse fasce d’età.

Come interpretare i risultati dell’esame
In generale, livelli di AlPh superiori alla norma sono indice di una malattia del fegato o delle ossa. Se anche gli altri esami di funzionalità epatica, come bilirubina e transaminasi (AST e ALT), sono elevati, AlPh può indicare una malattia del fegato, soprattutto a carico dei dotti biliari. Può trattarsi per esempio di carcinoma biliare, metastasi epatica, epatite o cirrosi biliare. In particolare, in caso di ostruzione dei dotti biliari, AlPh e bilirubina aumentano più delle transaminasi. Quando invece insieme a AlPh aumentano anche calcio e fosfato, è più probabile che il disturbo riguardi l’apparato scheletrico. Le malattie delle ossa associate ad aumento di AlPh sono: morbo di Paget, metastasi ossee, artrite deformante, osteomielite, rachitismo, sarcoidosi, fratture ossee. Quando il medico non riesce a trovare la causa dell’aumento di AlPh, si può effettuare il cosiddetto test degli isoenzimi, che consente di determinare quale forma di AlPh sia aumentata, se quella ossea o quella epatica. Una riduzione di AlPh nei pazienti con tumore al fegato o alle ossa indica che il terapia adottata è efficace. Una diminuzione di AlPh può anche essere causata da ipotiroidismo, anemia, malnutrizione o età avanzata.

Informazioni aggiuntive
Un aumento della AlPh può essere causato anche da una dieta ricca di proteine. Inoltre, la forma placentare dell’enzima aumenta durante la gravidanza.


Transaminasi

Uomini 10-40 U/L*
Donne 5-35 U/L*

Le transaminasi sono enzimi, cioè sostanze proteiche, che si trovano soprattutto nelle cellule del fegato. I loro livelli nel sangue sono utili per valutare il corretto funzionamento del fegato, ma possono anche riflettere lo stato di salute del cuore e dell’apparato scheletrico. Negli esami di routine si misurano: la trasaminasi ALT (o GPT), che riguarda soprattutto il fegato, e la transaminasi AST (o GOT), che riguarda invece il cuore e lo scheletro
.

ALT (o GPT)

Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione di ALT (alanino amino transferasi) nel sangue. L’ALT può essere anche indicata con la sigla GPT (glutammato piruvato transaminasi). ALT è una transaminasi, cioè un tipo di enzima che si trova in diversi organi e tessuti: è presente soprattutto nel fegato, ma si trova anche nel cuore, nei muscoli e nei reni. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di una malattia del fegato, l’enzima viene liberato in circolo e i suoi livelli aumentano anche prima del manifestarsi di sintomi più ovvi di alterazione epatica.

Quando e perché il test è indicato
Insieme a bilirubina, AST e AlPh, l’ALT fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per valutare la funzionalità epatica e per determinare la presenza di una malattia del fegato. Viene infatti prescritto a quei pazienti che presentano segni o sintomi di un’alterazione della funzionalità epatica, come ittero, urine scure, nausea e vomito, dolore e gonfiore addominali. Il test dell’ALT può essere prescritto anche agli alcolisti, alle persone con una storia familiare di epatite, in caso di sospetta esposizione a virus dell’epatite o di assunzione di farmaci che hanno una compravata tossicità per il fegato. L’ALT può essere anche misurata per valutare l’efficacia di una terapia in persone affette da una malattia epatica.

Come si fa il test
È sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Come interpretare i risultati dell’esame
Valori superiori a quelli normali possono essere determinati da disturbi epatici come steatosi epatica (fegato «grasso»), epatiti, ittero ostruttivo e, nei casi più gravi, condizioni come cirrosi o metastasi epatiche. In particolare, nell’epatite acuta i livelli possono aumentare anche di 10 volte rispetto ai valori massimi normali, rimangono elevati per almeno due mesi e impiegano 3-6 mesi prima di rientrare nella norma. Nelle epatiti croniche e in altre malattie del fegato (come quelle da blocco delle vie biliari o nella steatosi epatica), le variazioni di ALT sono più lievi; per questo il medico deve spesso ripetere l’esame prima di emettere una diagnosi. L’aumento di ALT può dipendere anche da malattie che colpiscono organi e tessuti diversi dal fegato: per esempio, distrofie muscolari, scompenso circolatorio, traumi, obesità, pancreatite, distruzione dei globuli rossi (emolisi) e mononucleosi (la cosiddetta malattia del bacio).

Informazioni aggiuntive
I livelli di ALT possono aumentare in seguito a iniezioni intramuscolari di farmaci o dopo un esercizio muscolare sostenuto.

AST (o GOT)

Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione di AST (aspartato amino transferasi) nel sangue. L’AST può essere anche indicata con la sigla GOT (glutammico ossalacetico transaminasi). L’AST è un enzima localizzato per lo più nel cuore e nel fegato; anche se in concentrazioni inferiori, esso si trova anche nei muscoli, nei reni, nel cervello e nel pancreas. In condizioni normali AST è presente nel sangue a bassi livelli, ma quando il fegato o il cuore subiscono un danno, esso viene liberato in circolo e i suoi livelli nel sangue aumentano.

Quando e perché il test è indicato
Insieme a bilirubina, ALT e AlPh, l’AST fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per valutare la funzionalità epatica e per determinare la presenza di una malattia del fegato. Viene infatti prescritto a quei pazienti che presentano segni o sintomi di un’alterazione della funzionalità epatica, come ittero, urine scure, nausea e vomito, dolore e gonfiore addominali. Può essere richiesto anche per alcolisti, persone con una storia familiare di epatite, in caso di sospetta esposizione a virus dell’epatite o assunzione di farmaci che hanno una comprovata tossicità per il fegato. Nonostante l’AST sia presente nel cuore e nei muscoli, esso non è di norma utilizzato per valutare eventuali lesioni del muscolo cardiaco o degli altri muscoli; in questi casi si preferisce infatti utilizzare un altro enzima, la creatin fosfochinasi (CPK), che è presente a livello muscolare in concentrazioni più elevate.

Come si fa il test
È sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Come interpretare i risultati dell’esame
Valori superiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da malattie del fegato. In particolare nell’epatite acuta i livelli possono aumentare anche di 10 volte rispetto ai valori massimi normali, rimangono elevati per almeno due mesi e impiegano 3-6 mesi prima di rientrare nella norma. Nelle epatiti croniche e in altre malattie del fegato (come quelle da blocco delle vie biliari), le variazioni di AST sono più lievi; per questo il medico deve spesso ripetere l’esame prima di emettere una diagnosi. Un aumento di AST si osserva anche in seguito a un infarto cardiaco o a una lesione muscolare. Valori inferiori rispetto a quelli normali possono invece essere determinati da: dialisi, diabete, gravidanza.



Gamma GT

Gamma GT 10-100 U/L*
Donne 4-18 U/L*
Uomini 6-28 U/L*

Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione di GGT, o gamma glutamil transpeptidasi, nel sangue. GGT è un enzima che si trova soprattutto nel fegato e che di norma è presente nel sangue a livelli molto bassi. In presenza di un danno epatico, però, la quota di GGT nel sangue aumenta. In particolare, GGT è considerato l’enzima epatico più sensibile per rilevare problemi a carico dei dotti biliari (i canali che consentono il passaggio della bile dal fegato all’intestino, dove contribuisce alla digestione dei grassi).

Quando e perché il test è indicato
In genere il medico prescrive questo test in associazione ad altri esami di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina, bilirubina, transaminasi AST e ALT), per valutare la presenza di una malattia del fegato o dei dotti biliari. Perciò l’esame è indicato per quei soggetti che manifestano segni o sintomi di una malattia epatica quali: ittero, nausea e vomito, gonfiore e dolori addominali, urine scure, sensazione di fatica e malessere generale, prurito. L’esame può essere inoltre utilizzato per distinguere tra una malattia delle ossa e un disturbo epatico nei casi di livelli elevati di fosfatasi alcalina, un altro enzima che può essere misurato con un test specifico. Il GGT è utilizzato anche nel caso di un sospetto abuso di alcol: infatti, esso risulta aumentato nel 75 per cento dei bevitori cronici.

Come si fa il test
È sufficiente un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. È preferibile effettuare l’esame dopo almeno otto ore di digiuno, perché il GGT diminuisce subito dopo i pasti. Si consiglia inoltre di evitare di bere alcolici nelle 24 ore precedenti l’esame, perché anche quantità minime di alcol possono causare temporanei aumenti del GGT. In questo caso il medico sarebbe costretto a far ripetere l’esame. Esiste una variabilità che dipende dal sesso e dall’età: il GGT tende ad aumentare con l’età nelle donne, ma non negli uomini. Comunque rimane sempre più elevato nei maschi rispetto alle femmine.

Come interpretare i risultati dell’esame
Livelli di GGT bassi o normali non destano preoccupazioni perché sono indicativi di una buona funzionalità epatica: le probabilità che il paziente soffra di una malattia del fegato sono quindi basse. In alcuni casi la riduzione del GGT potrebbe dipendere dall’assunzione di certi farmaci, come la pillola anticoncezionale o i clofibrati (usati per abbassare i livelli di grassi nel sangue). Valori elevati di GGT indicano invece che qualcosa non va a livello del fegato o dei dotti biliari; quanto più alto è il GGT, tanto più grave è il danno epatico. Tuttavia un semplice aumento del GGT non permette al medico di discriminare tra una malattia e l’altra; per questo motivo l’uso del GGT è controverso e le linee guida dell’Associazione americana per lo studio delle malattie epatiche non lo raccomandano come esame di routine. Un GGT alto può anche essere indice di abuso di alcol o di alcuni farmaci, tra cui gli antinfiammatori non steroidei (FANS), certi antidepressivi, alcuni antibiotici, antistaminici e ormoni come il testosterone. In questi casi non si riscontrano alterazioni degli altri enzimi epatici. Quando la fosfatasi alcalina è aumentata, se anche il GGT lo è, allora si può sospettare una disfunzione epatica o biliare; se invece il GGT è nella norma, è più probabile che l’aumento di fosfatasi alcalina sia spia di una malattia delle ossa.

Informazioni aggiuntive
Il fumo da sigaretta può far aumentare il GGT.


ESAMI PER IL FERRO

La carenza di ferro nel sangue viene di solito associata all'anemia. Ma non è sempre così, e , soprattutto, gli esami per valutare il metabolismo del ferro sono diversi, e vanno valutati nel loro insieme.

Ferritina

neonato 25-200 ng/ml
primo mese 200-600 ng/ml
donna 20-120 ng/ml
uomo 20-300 ng/ml

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione della ferritina nel sangue. La ferritina è una proteina che lega il ferro e, insieme all’emosiderina, rappresenta la principale riserva di questo elemento nell’organismo. Oltre alla ferritina sierica, cioè quella presente nel sangue, ci sono anche le ferritine tissutali, che si trovano nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. La concentrazione della ferritina nel sangue è in rapporto ai depositi di ferro presenti nei vari tessuti ed è quindi un ottimo indicatore della quantità di ferro a disposizione di tutto il corpo.

Quando e perché il test è indicato
L’esame serve a determinare quanto ferro di riserva è a disposizione dell’organismo. Viene prescritto, insieme ai test della sideremia e della capacità ferro-legante totale (transferrina sierica), in caso di:
- sospetto eccesso di ferro dovuto a: malattie ereditarie come l’emocromatosi, eccessiva assunzione di ferro con la dieta, overdose accidentale di ferro, eccessivo accumulo di ferro (emosiderosi);
- bassi valori di ematocrito ed emoglobina: in questi casi, e quando i globuli rossi sono più piccoli e meno rossi della norma (microcitici e ipocromici), una carenza di ferro potrebbe essere causa di un’anemia.

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Come interpretare i risultati dell’esame
Bassi livelli di ferritina possono essere dovuti a carenza cronica di ferro, carenza di vitamina C, malnutrizione (riduzione delle proteine corporee). Una ferritina bassa (22 ng/ml), associata a valori alterati di emoglobina ed ematocrito e in presenza di globuli rossi di piccole dimensioni e meno rossi della norma (microcitici e ipocromici), indica un’anemia sideropenica (causata da carenza di ferro). Aumenti della ferritina rispetto ai valori normali possono essere dovuti a malattie del fegato, una malattia genetica detta emocromatosi, alcuni tumori (del seno, dei polmoni, del pancreas, del colon, del rene, leucemie, neuroblastoma, malattia di Hodgkin), infezioni acute e croniche, alcune malattie autoimmunitarie (artrite reumatoide e lupus eritromatosus), eccessive trasfusioni di sangue.

Informazioni aggiuntive
In caso di malattie che causano danni agli organi che contengono le ferritine tissutali (fegato, milza, midollo osseo), i livelli di ferritina nel sangue possono aumentare anche se le riserve totali di ferro nel corpo sono normali. Per questo, da soli, i livelli di ferritina non sono molto informativi nelle persone affette da infezioni croniche, tumori e malattie autoimmunitarie.

Sideremia

Sideremia 170-190 microgrammi/dl
2-3 mesi 50-70 microgrammi/dl
infanzia 100 microgrammi/dl
uomo adulto 75-160 microgrammi/dl
donna adulta 60-150 microgrammi/dl
vecchiaia 40-80 microgrammi/dl

Che cosa si misura
Il test misura la sideremia, cioè la concentrazione di ferro nel sangue. Il ferro è un elemento molto importante per l’organismo, perché è indispensabile per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti e per la formazione di alcuni enzimi. In un individuo adulto sano sono presenti circa 3-5 g di ferro totale: di questo, una parte si trova nei globuli rossi (ferro legato all’emoglobina), una parte costituisce le riserve dell’organismo (ferro legato a ferritina ed emosiderina) e una parte rappresenta il cosiddetto «ferro di trasporto» (ferro legato alla transferrina), che, attraverso il sangue, è veicolato dal fegato e dall’intestino ai tessuti che ne hanno bisogno. Essendo la quota di ferro libero nel sangue trascurabile, la sideremia di fatto misura il ferro legato alla transferrina.

Quando e perché il test è indicato
Il test della sideremia serve a controllare se i livelli di ferro sono nella norma, ma non fa parte degli esami di routine. Se i valori di emoglobina ed ematocrito sono anomali, il test può essere utile per determinare le cause di un’eventuale anemia. L’esame viene anche usato nei pazienti in trattamento per una carenza di ferro, per valutare se il ferro assunto venga assorbito correttamente. Nei bambini che abbiano ingoiato accidentalmente tavolette di ferro, la misurazione della sideremia è l’unico metodo per determinare la gravità dell’avvelenamento. La sideremia può essere usata, insieme alla capacità ferro-legante totale (transferrina sierica), come esame di screening per una malattia genetica, l’emocromatosi. Intorno all’utilità di questo tipo di screening si è acceso un grosso dibattito: secondo alcuni esperti esso dovrebbe essere esteso a tutti i soggetti sopra i 20 anni, per consentire il riconoscimento e il trattamento precoce della malattia; altri, invece, non lo ritengono utile, data l’attuale impossibilità di distinguere tra i casi sintomatici e quelli asintomatici.

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. Il prelievo dovrebbe essere eseguito di mattina, a digiuno. Inoltre, è bene evitare l’assunzione di tavolette o pastiglie di ferro nelle 24 ore che precedono il prelievo: in caso contrario i valori risulterebbero falsati.

Quali sono i valori anomali e come interpretare i risultati dell’esame
Bassi livelli di ferro possono essere dovuti a: aumento delle richieste, durante infanzia, gravidanza e allattamento, ridotto assorbimento (malattie del tratto gastrointestinale), emorragie, abbondanti perdite mestruali, anemia sideropenica (cioè dovuta a carenza di ferro), diabete, età avanzata, insufficienza renale, malattie infettive (tubercolosi, ascesso polmonare, endocardite batterica), malattie croniche (morbo di Chron), tumori (del seno, del polmone, linfoma di Hodgkin), infarto cardiaco, una dieta povera di ferro, assunzione di alcune sostanze (ACTH, testosterone) e di alcuni farmaci (colchicina, meticillina). Alti livelli di sideremia possono essere dovuti a: malattie genetiche (talassemie, emocromatosi), eccessive trasfusioni di sangue, emosiderosi (eccessivo accumulo di ferro), epatite virale acuta, leucemie, terapie con ferro, overdose accidentale di ferro, assunzione di alcune sostanze (estrogeni, pillola contraccettiva) e di alcuni farmaci (metildopa,cloramfenicolo).

Transferrina serica

transferrina sierica 200-300 mg/dl
capacità ferro-legante totale 250-380 microgrammi/dl

Che cosa si misura
Il test misura la capacità totale del corpo di trasportare il ferro; di fatto, siccome il trasporto del ferro nel sangue è effettuato da una sola proteina, la transferrina, questa misura può essere anche espressa come concentrazione della transferrina nel sangue. La transferrina è una proteina che trasporta il ferro dall’intestino e dal fegato ai tessuti che ne hanno bisogno. Nel sangue, la transferrina può trovarsi sia in forma libera, non legata al ferro (transferrina insatura), sia in forma legata al ferro (transferrina satura). La quota di transferrina legata coincide con il valore della sideremia.

Quando e perché il test è indicato
Il test serve a determinare la capacità del corpo di trasportare il ferro, ma è usato anche per seguire la funzionalità del fegato e per valutare lo stato nutrizionale di un individuo. L’esame non rientra nei test di routine, ma viene prescritto, insieme ai test della sideremia e della ferritina sierica, quando il medico sospetta condizioni associate a valori anomali di ferro (emocromatosi, emosiderosi, anemie, eccetera).

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali
In un individuo adulto normale circa un terzo della transferrina sierica misurata viene utilizzata per trasportare ferro. Per calcolare rapidamente la capacità ferro-legante totale conoscendo la concentrazione della transferrina sierica, si può usare la seguente formula: capacità ferro-legante totale (microgrammi/dl) = transferrina (mg/dl) * 1,25.

Come interpretare i risultati dell’esame
Una bassa capacità ferro-legante totale può indicare una malattia genetica chiamata emocromatosi, anemie causate da infezioni o malattie croniche, malnutrizione, cirrosi epatica, sindrome nefrosica (una malattia renale che causa un’eccessiva perdita di proteine con le urine), assunzione dell’ormone ACTH o dell’antibiotico cloramfenicolo. Una capacità ferro-legante totale elevata indica generalmente una carenza di ferro. Per esempio, nell’anemia sideropenica (da carenza di ferro), si osserva un’iniziale riduzione della ferritina, seguita da un aumento della capacità ferro-legante totale e da una riduzione della sideremia. Anche l’assunzione della pillola contraccettiva può incrementare la capacità ferro-legante. Va comunque ribadito che questo esame, va interpretato alla luce di una visione complessvia degli esami che riguardano il metabolismo del ferro nell'organismo.


ESAMI PER CUORE E METABOLISMO

Esistono diversi test per verificare la salute del cuore
e dei vasi, che è spesso correlata anche al buon funzionamento del metabolismo. Nella tabella alcuni fra quelli più spesso prescritti

Calcemia o calcio sierico

Valori normali bambini: 9-11 mg/dl adulti: 9-10,7 mg/dl

Se aumenta (ipercalcemia) infezioni, infiammazione,iperparatiroidismo (aumento della funzione delle ghiandole paratiroidi, dovuta di solito a tumori benigni), tumori con metastasi alle ossa, ipertiroidismo (aumento della funzionalità della tiroide), fratture ossee combinate a immobilizzazione prolungata, eccessiva assunzione di vitamina D, trapianto di reni, tubercolosi, sarcoidosi, mieloma, assunzione di alcuni diuretici (tiazidici). leucemie, traumi, stress

Se diminuisce (ipocalcemia) ipoparatiroidismo (inattività delle ghiandole paratiroidi), ridotta assunzione di calcio con la dieta per malnutrizione o malassorbimento, ridotti livelli di vitamina D, rachitismo e altre malattie delle ossa, eccesso di fosforo, carenza di magnesio, infiammazione acuta del pancreas, insufficienza renale cronica, alcolismo, assunzione di farmaci anticonvulsivanti (barbiturici, idantoinici).


Calcitonina

Calcitonina meno di 19 pg/ml
Donna meno di 14 pg/ml

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione di calcitonina nel sangue. La calcitonina è una proteina prodotta dalla tiroide, la cui funzione non è ancora del tutto chiara. Si sa però che i suoi livelli aumentano in risposta a un incremento della calcemia e che agisce riducendo i livelli di calcio nel sangue. In due malattie rare della tiroide, l’iperplasia benigna delle cellule C (tumore benigno) e il carcinoma midollare (tumore maligno), la calcitonina viene prodotta in eccesso.

Quando e perché il test è indicato
L’esame può essere usato come test di supporto per la diagnosi di due malattie rare della tiroide: l’iperplasia benigna delle cellule C e il carcinoma midollare. È utilizzato anche per seguire l’andamento di queste due malattie, per valutare l’efficacia delle terapie e per individuare l’eventuale ricomparsa del tumore (recidiva) a trattamento concluso. Siccome il 20-25 per cento dei carcinomi midollari della tiroide è ereditario, il test della calcitonina potrebbe essere usato per seguire i soggetti a rischio, soprattutto quelli con una storia familiare di questo tipo di tumore o con una mutazione in un gene specifico (RET).

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Informazioni aggiuntive
Oltre al test classico, esiste un esame definito test di provocazione della calcitonina: esso misura i livelli di calcitonina dopo stimolazione con un’iniezione di una quantità nota di calcio. Quando i valori di calcitonina misurati con il test classico sono nella norma ma persiste un sospetto clinico, il medico può prescrivere questo secondo test: esso è più sensibile del primo e può riconoscere un carcinoma midollare o un’iperplasia benigna già nelle fasi precoci della malattia. Di solito, quando la calcitonina è elevata, gli altri test che indagano la funzionalità della tiroide (TSH, T3, T4) sono nella norma.


Colesterolo

Che cosa si misura
L’esame misura la concentrazione di colesterolo nel sangue: con tre misurazioni diverse si ottengono i livelli di colesterolo totale, colesterolo HDL (cosiddetto "colesterolo buono") e colesterolo LDL (o "colesterolo cattivo"). Il colesterolo è un tipo di grasso in parte prodotto dall’organismo e in parte introdotto con la dieta. Esso è essenziale per la vita perché forma le membrane delle cellule, è utilizzato per sintetizzare alcuni ormoni indispensabili per la crescita, lo sviluppo e la riproduzione, e forma gli acidi biliari che partecipano all’assorbimento intestinale dei grassi. Una piccola parte di colesterolo è presente nel sangue dove è legato a speciali proteine chiamate lipoproteine. Alcune di essere, le HDL (lipoproteine ad alta densità) trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti al fegato, dove viene eliminato; le LDL (lipoproteine a bassa densità) lo trasportano invece in periferia, favorendone il deposito nei tessuti.

Quando e perché il test è indicato
Questo test viene usato per valutare il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare (malattia coronarica, infarto miocardico, ictus cerebrale). I valori di colesterolo-insieme ai dati relativi alla glicemia, alla pressione arteriosa, all’età, alla storia di fumo- permettono di definire il rischio cardiovascolare di un soggetto (calcolo del rischio). Vi è una correlazione diretta tra i valori di colesterolo LDL e rischio di sviluppare malattia cardiaca o morte cardiovascolare (CV). Pertanto il suo controllo fa parte di una pratica preventiva di routine. Negli adulti al di sopra dei 20 anni la misurazione del colesterolo dovrebbe essere effettuata almeno una volta ogni 5 anni. Nei soggetti con storia di malattia cardiaca, nei diabetici o nei soggetti in terapia con farmaci per abbassare il colesterolo il controllo dovrebbe essere fatto almeno 2 volte all’anno per determinare l’efficacia della terapia o del cambiamento dello stile di vita.

Come si fa il test
Per determinare la colesterolemia, cioè la concentrazione di colesterolo nel sangue, è sufficiente un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Il test può essere effettuato anche su campioni di sangue prelevati pungendo con un ago la punta di un dito. Per dosare il colesterolo totale non è necessario il digiuno perché un singolo pasto non è in grado di variare i livelli di colesterolo nel sangue. Il valore può variare in seguito a cambiamenti delle abitudini alimentari, ma sono necessarie diverse settimane. La valutazione del colesterolo LDL richiede invece un digiuno di almeno 12 ore, visto che il colesterolo LDL viene calcolato in modo indiretto a partire dai risultati di altri esami che richiedono il digiuno. Infatti Colesterolo LDL= (Colesterolo totale- Colesterolo HDL) – trigliceridi/5 Tale formula non è applicabile se i livelli di trigliceridi sono > 400 mg/dl.

Quali sono i valori normali e quelli anomali
Il criterio di normalità per il colesterolo è un problema complesso. C'è accordo sul fatto che valori elevati di colesterolo totale e LDL si associano ad un alto rischio cardiovascolare, mentre il colesterolo HDL è inversamente proporzionale al rischio: quanto maggiore è il colesterolo HDL, tanto minore è il rischio. Per quanto riguarda i valori riconosciuti normali si può semplificare come segue: Colesterolo totale < 200 mg/dl, HDL > 40 mg/dl negli uomini e > 50 mg nelle donne, Colesterolo LDL < 130 mg/dl. Tuttavia i valori cosiddetti desiderabili variano molto a seconda del soggetto e della presenza di altri fattoti di rischio. Per esempio, una donna senza familiarità per malattie cardiovascolari e non in sovrappeso, avrà un valore di colesterolo desiderabile più elevato rispetto a quello di un uomo diabetico, obeso e fumatore. A questo scopo oggi si usano le cosiddette «carte del rischio cardiovascolare», che permettono di stabilire per ogni persona i livelli desiderabili colesterolo.
In ogni caso tenere presente che:
1) soggetti con storia nota di malattie cardiovascolari (ictus, infarto miocardico) devono mantenere valori di colesterolo LDL obbligatoriamente inferiori a 100 mg/dl e meglio inferiori a 70 mg/dl;
2) i soggetti diabetici debbono mantenere valori di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dl.

Come interpretare i risultati dell’esame
Il colesterolo può aumentare sia per una dieta ricca di cibo ad alto contenuto in colesterolo e grassi saturi, sia per una predisposizione ereditaria. Esistono infatti patologie ereditarie che si accompagnano ad accumulo di colesterolo (ipercolesterolemia poligenica e iperlipemie familiari). Altre patologie possono determinare un accumulo di colesterolo: ipotiroidismo, malattie renali, malattie epatiche). Alcuni farmaci possono alzare i livelli di colesterolo: steroidi anabolizzanti, cortisonici, betabloccanti, pillola anticoncezionale. Valori molto bassi di colesterolo si rilevano in caso di ipertiroidismo, malnutrizione, diete vegetariane. Contrariamente a quanto ritenuto in passato bassi valori di colesterolo non correlano a maggior incidenza di suicidi o neoplasie.

Che cosa fare in caso di aumento di colesterolo
Il trattamento iniziale deve essere dietetico. In particolare limitare l’assunzione di latticini (burro, panna, latte intero, formaggi), carni rosse ,uova e crostacei. Incrementare l’apporto di frutta, verdura e pesce. È utile incrementare l’attività fisica di tipo aerobico (bici, corsa, nuoto) perché questo porta a riduzione del colesterolo totale e aumento del colesterolo HDL. Laddove il controllo dietetico appare insufficiente si può ricorrere alla terapia farmacologia. Esistono farmaci che riducono la sintesi epatica di colesterolo (statine), farmaci che riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo (steroli, ezetimibe), farmaci che sequestrano gli acidi biliari (resine).


D-Dimero

Che cosa misura
Misura la concentrazione plasmatica di D-Dimero, un prodotto di degradazione della fibrina, la principale responsabile della formazioni di coaguli (trombi) nei vasi sanguigni. Dalla degradazione della fibrina (processo chiamato fibrinolisi) si liberano in circolo dei frammenti dosabili.

Quando e perché il test è indicato
È indicato - in urgenza - quando si sospettano patologie gravi legate a formazione di trombi, soprattutto la trombosi venosa profonda (TVP) e la tromboembolia polmonare (TEP). Vale a dire quando il paziente si presenta in Pronto Soccorso per dolore e gonfiore ad una gamba in un contesto che fa sospettare una trombosi venosa profonda (recente intervento ortopedico, neoplasie, allettamento) o con un quadro di dispnea acuta (mancanza di respiro che insorge all'improvviso spesso in assenza di malattie cardiache e polmonari sottostanti) soprattutto se si tratta di un soggetto obeso, allettato o con recente intervento chirurgico.

Come si fa il test
È sufficiente un prelievo da una vena del braccio. Non è richiesto il digiuno.

Valori normali
Valori generalmente considerati normali sono 500 ng/ml.

Come interpretare i risultati
Se i valori di D-Dimero sono normali si può con ragionevole certezza escludere la trombosi venosa profonda o l'embolia polmonare come causa dei disturbi. Ciò consente in urgenza - soprattutto nei pazienti in cui la probabilità di avere queste patologie è medio-basso - di soprassedere ad ulteriori indagini diagnostiche. La negatività dell'esame permette infatti di escludere la patologia nel 99,5% dei casi. Se i valori di D-Dimero sono elevati e vi è il sospetto fondato di trombosi venosa profonda o embolia polmonare bisogna procedere per conferma con ulteriori esami. Nel sospetto di trombosi venosa profonda verrà richiesto un ecocolordoppler venoso degli arti inferiori. Nel caso di sospetta embolia polmonare verrà eseguita una scintigrafia polmonare o, meglio, una TAC polmonare con mezzo di contrasto.
Il limite del D-Dimero è legato alla sua bassa specificità. I valori possono essere elevati anche in caso di gravidanza (soprattutto terzo trimestre con valori più elevati nelle gravidanze gemellari), tumori, recenti interventi chirurgici, traumi, infezioni. Perciò, mentre un esame negativo ci permette nella maggior parte dei casi di concludere l'iter diagnostico, un valore elevato è suggestivo ma non diagnostico per una patologia trombotica potendo essere elevato in molte situazioni.


Glicemia

Adulti 65-110 mg/dl
Neonati 29-90 mg/dl

Cosa si misura
Il test misura la concentrazione di glucosio nel sangue. Il glucosio è uno zucchero e rappresenta la principale risorsa di energia per l’organismo. I suoi livelli nel sangue dipendono dall’equilibrio tra la quantità di zucchero introdotta con la dieta o derivante dalle riserve corporee, e la quantità che viene utilizzata dai vari tessuti (muscoli, cervello, eccetera). Questo equilibrio è regolato da due ormoni: l’insulina e il glucagone. La prima viene rilasciata subito dopo un pasto e consente di mantenere la glicemia entro valori normali, favorendo l’assunzione e l’immagazzinamento del glucosio nelle cellule. Il secondo, invece, agisce tra un pasto e l’altro favorendo il rilascio di glucosio dal fegato quando i livelli nel sangue sono bassi. Un’alterazione di questo sistema di regolazione può provocare condizioni di ipoglicemia (bassi livelli di glucosio nel sangue) o di iperglicemia (alti livelli di glucosio nel sangue), che possono essere anche fatali. Per esempio, nel diabete, uno stato di iperglicemia cronica può portare a un danno progressivo di organi come reni, occhi, nervi, cuore e vasi. L’ipoglicemia, invece, ha effetti gravi soprattutto sul sistema nervoso.

Quando e perché il test è indicato
L’esame serve a determinare se il glucosio nel sangue è nella norma o se sono presenti condizioni anomale di iperglicemia o ipoglicemia. Può essere dunque utilizzato per fare una diagnosi di diabete. A questo scopo esso è indicato per le seguenti categorie:
1. individui apparentemente sani, come parte degli esami del sangue di routine;
2. persone a rischio di diabete: con una storia familiare di diabete, in sovrappeso, di età superiore ai 40-45 anni;
2. individui con sintomi di iperglicemia (aumentata sete, aumentata produzione di urine, fatica, visione sfuocata);
3. individui con sintomi di iperglicemia (aumentata sete, aumentata produzione di urine, fatica, visione sfuocata);
4. individui con sintomi di ipoglicemia: (sudorazione eccessiva, ansia, confusione, tremori, fame);
5. malati di diabete che devono tenere sotto controllo i livelli di glucosio anche diverse volte durante la giornata.

Come si fa il test
Si utilizza un campione di sangue prelevato dalla vena di un braccio. Per un controllo personale della glicemia, pratica quotidiana nei malati di diabete, è sufficiente raccogliere poche gocce di sangue pungendo la pelle con un piccolo ago. L’esame viene eseguito a digiuno, ad almeno 8-10 ore dall’ultimo pasto.

Come interpretare i risultati dell’esame
Elevati livelli di glucosio nel sangue sono di solito dovuti al diabete, ma possono essere causati anche da altre condizioni, quali: avvelenamento da monossido di carbonio (CO), obesità, tumori cerebrali, ictus cerebrale, infarto cardiaco, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, neoplasia del pancreas, pancreatite, sindrome di Cushing, stress, acromegalia, uso di alcuni farmaci (pillola anticoncezionale, diuretici e alcuni antidepressivi). Valori inferiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da: eccessiva assunzione di alcol, cirrosi epatica, malattie epatiche croniche, digiuno o malnutrizione, ipotiroidismo, tumori del pancreas, tumori dell’ipofisi, sarcomi, uso di alcuni farmaci (betabloccanti, steroidi anabolizzanti), eccesso di insulina.

Informazioni aggiuntive
Oltre che a digiuno, la misurazione del glucosio può essere effettuata anche vicino ai pasti. Per esempio, il cosiddetto test da carico di glucosio consiste in una serie di misurazioni del glucosio effettuate a tempi diversi dall’assunzione di una quantità standard di glucosio. Questo esame è usato per seguire i livelli di glucosio nel tempo ed è indicato, così come il test del glucosio a digiuno, per la diagnosi del diabete. In entrambi i casi per confermare la diagnosi occorre ripetere il test almeno due volte.
Esiste anche il test del glucosio urinario, che misura la concentrazione di glucosio nelle urine e che rientra nelle analisi delle urine eseguite di routine. In genere ciò che causa aumenti della glicemia produce anche un incremento del glucosio nelle urine.


NT-proBNP

Che cosa misura
Misura la concentrazione plasmatica del peptide NT-proBNP, che è una sostanza prodotta dalle cellule dei ventricoli cardiaci in risposta allo stiramento indotto per lo più da un aumento del volume circolante. Più esattamente si tratta del frammento N-terminale del precursore proteico BNP (peptide natriuretico). È preferibile dosare l'NT-proBNP rispetto al BNP per la maggior stabilità.

Quando e perché il test è indicato
L'esame viene generalmente richiesto in Pronto Soccorso quando il paziente presenta un quadro di dispnea (mancanza di respiro) di cui non è chiara la causa. Viene richiesto - inoltre - nelle condizioni di scompenso cardiaco cronico a scopo prognostico o per monitorare l'efficacia della terapia.

Come si fa il test
È sufficiente un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Non è necessario il digiuno.

Quali sono i valori normali?
Valori 450 pg/ml sono considerati nella norma in soggetti di età inferiore a 50 anni. Da notare che negli anziani i valori di NT-proBNP tendono ad aumentare (da considerarsi normali valori fino a 900 pg/ml). Il dato non è valutabile in presenza di insufficienza renale cronica (IRC), condizione in cui si ha un accumulo in circolo di tale sostanza.

Come interpretare i risultati dell'esame
Di fronte ad un paziente con dispnea acuta, valori di NT- proBNP nella norma permettono di escludere lo scompenso cardiaco come causa dei disturbi. Questo è importante in quei casi in cui la clinica e la radiologia non permettono una diagnosi differenziale certa tra dispnea legata a problemi polmonari e dispnea legata a problemi cardiaci. In particolare livelli di NT-proBNP 00 pg/ml permettono di escludere nel 99% una diagnosi di scompenso cardiaco. Nei pazienti con scompenso cardiaco cronico l'aumento del NT-proBNP può essere usato per predire la sopravvivenza. I livelli di NT-pro-BNP predicono inoltre la comparsa di scompenso cardiaco e morte nei pazienti con infarto miocardico acuto. Da notare che i livelli di NT-proBNP possono aumentare anche in corso di fibrillazione atriale, ipertensione arteriosa, ipertensione polmonare (ipertensione polmonare), emorragie cerebrali subaracnoidee e cirrosi epatica.

Paratormone

PTH alto
calcio alto (ipercalcemia) iperparatiroidismo primario: per determinarne cause e gravità, il medico può prescrivere una radiografia.
calcio basso (ipocalcemia) il sistema non funziona. In base alla gravità dell’ipocalcemia, il medico dovrà investigare prescrivendo altri esami, come vitamina D, fosforo e magnesio, e valutando la funzionalità dei reni.

PTH basso
calcio alto (ipercalcemia) il sistema di regolazione della calcemia basato sul PTH funziona bene, ma il medico dovrebbe fare ulteriori indagini per scoprire le cause dell’ipercalcemia.
calcio basso (ipocalcemia) probabile ipoparatiroidismo.

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione di paratormone (PTH) nel sangue. Il PTH è un ormone, cioè una proteina, ed è prodotto dalle paratiroidi, piccole ghiandole posizionate vicino alla tiroide. Il PTH regola l’equilibrio del calcio all’interno dell’organismo. Quando i livelli di calcio nel sangue sono bassi, le paratiroidi rilasciano il PTH, che determina aumenti della calcemia agendo in tre modi diversi: aumentando il rilascio di calcio dalle ossa, favorendone l’assorbimento intestinale (attraverso la vitamina D) e diminuendone l’eliminazione attraverso le urine. Quando il calcio torna ai livelli normali, il PTH diminuisce.

Quando e perché il test è indicato
L’esame serve a determinare se il PTH risponde in modo adeguato alle variazioni di calcio nel sangue. Il medico lo prescrive quando i valori del calcio nel sangue sono più alti (ipercalcemia) o più bassi (ipocalcemia) della norma, quando vuole valutare il funzionamento delle ghiandole paratiroidi, oppure quando ci sia il sospetto di una malattia renale. Inoltre, il PTH viene controllato regolarmente nei pazienti con malattie che alterano l’equilibrio del calcio o che sono in cura per disturbi delle paratiroidi.

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Quali sono i valori normali
I livelli di PTH variano molto durante la giornata, raggiungendo un picco alle due di mattina. In genere il prelievo si fa verso le otto del mattino. La concentrazione media è pari a 1-5 pmol/L.

Come interpretare i risultati dell’esame
Bassi livelli di PTH possono essere dovuti a: condizioni che causano ipercalcemia, ipoparatiroidismo, una condizione caratterizzata da una ridotta produzione di PTH. Aumenti di PTH possono dipendere da: iperparatiroidismo primario, in genere causato da un tumore benigno delle paratiroidi, iperparatiroidismo secondario, dovuto per esempio a insufficienza renale, assunzione di alcuni farmaci (rifampicina, fosfati, anticonvulsivanti, steroidi, litio, isoniazide). Per interpretare correttamente i risultati del test del PTH, bisogna confrontarli con i valori di calcio. Se sia il calcio che il PTH sono normali, significa che il sistema di regolazione del calcio funziona bene. Se invece uno o entrambi i parametri sono alterati, bisogna fare una valutazione specifica della situazione.

Proteina C reattiva

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione della proteina C reattiva (CRP) nel sangue. La CRP è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore. In questi casi, la crescita della CRP è molto rapida e precede il manifestarsi di sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno di CRP a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina cala.

Quando e perché il test è indicato
Il test della CRP viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato infiammatorio, ma non è specifico per la diagnosi di nessuna malattia. In genere il medico ricorre alla misurazione della CRP nel sangue quando sospetta una malattia infiammatoria, come alcuni tipi di artrite (artrite reumatoide), malattie autoimmunitarie (lupus eritromatosus), disturbi infiammatori dell’intestino (morbo di Chron). Essendo CRP un marcatore generale di infiammazione, un eventuale aumento della sua concentrazione deve allertare il medico che provvederà a prescrivere esami più approfonditi per poter effettuare una diagnosi di malattia. Il test della CRP viene usato anche per determinare l’efficacia di una terapia antinfiammatoria, oppure per valutare l’insorgenza di infezioni batteriche o virali nelle persone a rischio (per esempio nei pazienti che hanno appena subito un intervento chirurgico).

Come si fa il test
Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Valori normali
Nelle persone sane il valore medio della CRP è compreso tra 0,5 mg/L e 10 mg/L, con una variabilità che dipende dall’età e dal sesso del paziente.

Come interpretare i risultati dell’esame
Per la maggior parte dei casi di infezione e infiammazione si registrano incrementi della CRP, misurabili attraverso il test, che vanno da 10 mg/L a 1000 mg/L.

Informazioni aggiuntive
Esiste anche un altro esame che misura la CRP: esso è definito test per la CRP ad alta sensibilità. A differenza dell’esame a bassa sensibilità (vedi sopra), che può misurare solo valori di CRP superiori a 10 mg/L, questo test è in grado di rilevare variazioni di piccole quantità della proteina, misurando concentrazioni comprese tra 0,5 e 10 mg/L. Il test ad alta sensibilità è stato indicato per valutare il rischio cardiovascolare in persone sane, visto che diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra aumento della CRP e malattia cardiovascolare. A oggi, però, non c’è un consenso generale degli addetti ai lavori su quando effettuare questo test e su come interpretarlo. Infatti, un aumento dei livelli di CRP riflette la presenza di infiammazione, ma non indica necessariamente che l’infiammazione abbia luogo nelle pareti delle arterie, a livello delle placche aterosclerotiche, e che sia quindi collegata a un rischio cardiovascolare. In ogni caso, nonostante la questione sia ancora controversa, il test può essere prescritto insieme ad altri esami che valutano il rischio cardiovascolare, come la misurazione del colesterolo buono (HDL) rispetto a quello totale e la determinazione dei trigliceridi. Inoltre sono state definite tre classi di rischio cardiovascolare, che corrispondono ad altrettante concentrazioni della CRP. Un altro esame usato per valutare uno stato infiammatorio è il test della velocità di sedimentazione dei globuli rossi (ESR). A differenza della CRP, però, la velocità di sedimentazione dei globuli rossi varia più lentamente; perciò, la proteina C reattiva è un marcatore di infiammazione più precoce, e quindi preferibile, rispetto a ESR.


Trigliceridi

Che cosa si misura
Questo esame misura la concentrazione di trigliceridi nel sangue. I trigliceridi sono la forma di immagazzinamento dei grassi nell'organismo e sono utilizzati come fonte di energia. Derivano soprattutto dalla dieta e solo in parte minore sono prodotti dall'organismo (fegato). Una volta introdotti o sintetizzati sono accumulati nel tessuto adiposo (tessuto grasso), oppure sono usati dal muscolo e da altri organi come fonte di energia. Una quota di trigliceridi è presente anche nel sangue veicolata da particolari proteine a formare chilomicroni e VLDL (lipoproteine a densità molto bassa).

Quando e perché il test è indicato
La determinazione dei trigliceridi nel sangue rientra nella valutazione e determinazione del profilo lipidico, un insieme di esami che comprendono anche la misurazione del colesterolo totale, del colesterolo HDL ("colesterolo buono") e LDL ("colesterolo cattivo"). Il test è indicato nella valutazione del rischio cardiovascolare. Il test è indicato nei soggetti con patologie cardiache note o in soggetti adulti apparentemente sani, soprattutto se sono presenti altri fattori di rischio cardiovascolare (fumo, ipertensione arteriosa, diabete).

Come si fa il test
È necessario un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Talvolta il campione può essere ottenuto pungendo con un ago la punta di un dito. Per una corretta valutazione dei trigliceridi, il soggetto deve essere a digiuno da almeno 12 ore (dopo i pasti la concentrazione dei trigliceridi nel sangue tende ad aumentare anche di 5-10 volte) e non deve aver assunto alcol nelle ultime 24 ore.

Quali sono i valori normali e quelli anomali
A digiuno i valori normali di trigliceridi sono compresi da 50 e 150 mg /dl. In presenza di valori superiori si parla di ipertrigliceridemia (lieve tra 150 e 199 mg/dl, molto grave se > 500 mg/dl).

Come interpretare i risultati dell’esame
I trigliceridi aumentano soprattutto per eccessivo introito alimentare legato a diete ipercaloriche e ricche di grassi. Spesso l'aumento dei trigliceridi non è isolato, ma si accompagna ad aumento del colesterolo totale e del colesterolo LDL ("dislipidemia mista") o ad una riduzione del colesterolo HDL e ad un aumento della glicemia basale e della circonferenza addominale a configurare il quadro noto come Sindrome Mmetabolica, che è un importante fattore di rischio per le malattie cardiache e il diabete. I grassi alimentari in causa sono quelli saturi contenuti nella carne rossa, nelle uova, nei formaggi e nei latticini. Una riduzione dei trigliceridi è invece ottenuta aumentando l'introito di omega 3, grassi insaturi contenuti nel pesce. Ricordarsi inoltre che il fegato è in grado di produrre trigliceridi a partire dagli zuccheri per cui anche una alimentazione ricca di zuccheri può portare ad una ipertrigliceridemia. Anche un eccesso di alcol porta ad ipertrigliceridemia perché l’alcol fornisce un eccesso di calorie che vengono convertite in grassi e riduce l’attività dell’enzima che degrada i trigliceridi. Alcuni farmaci possono aumentare i livelli di trigliceridi nel sangue: corticosteroidi (cortisone), pillola anticoncezionale, estrogeni, alcuni diuretici (furosemide), alcuni agenti antifungini (miconazolo), inibitori delle proteasi. Anche malattie renali (sindrome nefrosica) e l’ipotiroidismo si accompagnano a ipertrigliceridemia. Meno comunemente un aumento dei trigliceridi può essere secondario a malattie ereditarie, come il deficit familiare di lipasi lipoproteica (valori superiori a 700 mg/dl) e l'ipertrigliceridemia endogena familiare (valori anche superiori a 1000 mg/dl). Quando i valori di trigliceridi sono molto alti (> 1000 mg/dl) c'è il rischio di sviluppare una pancreatite, vale a dire una infiammazione acuta del pancreas.

Informazioni aggiuntive
Una diminuzione dei trigliceridi si osserva nelle seguenti condizioni: malassorbimento intestinale, malnutrizione, ipertiroidismo, insufficienza epatica. Anche alcuni farmaci possono portare a riduzione dei trigliceridi nel sangue: clofibrati, statine, eparina, androgeni, steroidi anabolizzanti, Vitamina C.

Troponina

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione plasmatica di troponina cardiaca, proteina contenuta nelle fibrocellule del cuore che è rilasciata in circolo solo in caso di morte cellulare (necrosi miocardica) quale si verifica nel corso di ischemia prolungata (infarto miocardico acuto). È considerata attualmente il miglior marcatore umorale di necrosi cardiaca in quanto, a differenza degli altri enzimi cardiaci tradizionalmente usati (CPK, mioglobina) è altamente specifica per il tessuto cardiaco. Esistono due tipi di troponina cardiaca entrambi utilizzabili in clinica: la troponina I (cTnI) e la troponina T (cTnT).

Quando e perché il test è indicato
L’esame viene richiesto in Pronto Soccorso tutte le volte che un soggetto si presenta con un dolore toracico che possa far ipotizzare un ischemia cardiaca. L’esame viene eseguito all’arrivo in Pronto Soccorso, a distanza di 6 ore dall’insorgenza dei disturbi e a distanza di 12 ore. Questo perché in corso di infarto la troponina impiega alcune ore per positivizzarsi. Ed è questo il motivo per cui un paziente che accede ad un Pronto Soccorso per un dolore toracico di sospetta origine cardiaca deve rimanere in osservazione per parecchie ore. La negatività dell’esame a 12 ore dall’insorgenza di un dolore toracico prolungato permette infatti di escludere l’origine cardiaca dei sintomi. Ovviamente nei casi in cui la diagnosi di infarto è certa in base ai sintomi e al tracciato elettrocardiografico viene subito intrapresa la terapia medica e, se indicato, il paziente è inviato alla coronarografia per dilatazione con palloncino (PTCA) e impianto stent senza attendere l’esito dell’esame. La troponina risulta particolarmente utile nei casi in cui il dolore riferito è sospetto per le sue caratteristiche, ma l’elettrocardiogramma non mostra alterazioni o nei pazienti che sono portatori di pacemaker o «blocco di branca sinistra» (in questi 2 casi l’ECG è modificato già di per sè e spesso non si riesce a fare diagnosi di ischemia).

Come si fa il test
È sufficiente un campione di sangue prelevato da una vena.

Come interpretare i risultati
Un aumento della troponina in presenza di una sintomatologia suggestiva ed eventualmente di un ECG sospetto permettono di porre diagnosi di infarto miocardico acuto. La troponina sale fino alla 24 ora poi tende a scendere. A volte l’interpretazione del risultato è più complessa. I livelli di troponina possono aumentare in altre condizioni in cui è presente un danno miocardio quali pericardite, miocardite, scompenso cardiaco, embolia polmonare, infezioni gravi, emorragie cerebrali, ipotiroidismo, traumi toracici. La troponina può poi risultare elevata nei soggetti con insufficienza renale cronica. Nei pazienti in terapia con alcuni chemioterapici (come le antracicline) l’aumento della troponina è espressione di cardiotossicità da parte del farmaco.

Vitamina D

calcidiolo (forma inattiva della vitamina D) 14-42 ng/ml (in inverno) 15-80 ng/ml (in estate)
calcitriolo (forma attiva della vitamina D) 14-42 ng/ml (in inverno) 15-80 ng/ml (in estate)

Che cosa si misura
Il test misura la concentrazione di due forme della vitamina D nel sangue, il calcidiolo e il calcitriolo. La vitamina D regola l’equilibrio del calcio e del fosforo, favorisce l’assorbimento intestinale del calcio ed è un composto fondamentale per la formazione e la crescita di denti e ossa. Essa può derivare dalla dieta o essere sintetizzata nella pelle in seguito a esposizione ai raggi solari. La vitamina D così prodotta deve però subire altre due modificazioni prima di diventare attiva: la prima avviene nel fegato, dove si forma il calcidiolo, un composto intermedio ancora inattivo; la seconda nei reni, dove il calcidiolo è convertito in calcitriolo, la forma attiva. Con due misurazioni diverse si possono determinare sia la concentrazione del calcidiolo sia quella del calcitriolo. Il calcidiolo rappresenta la principale scorta di vitamina D dell’organismo e il test che lo misura serve ad assicurare che il corpo ne abbia una riserva adeguata. Il test del calcitriolo, invece, serve a garantire che i reni convertano la giusta quantità di calcidiolo nella forma attiva.


ESAMI PER MALATTIE INFETTIVE

Test per l'Hiv

A che cosa serve
Serve per vedere se un soggetto è entrato in contatto con il virus HIV (virus dell’immunodeficienza umana) dell’AIDS.

Quando e perché il test è indicato
È indicato in tutti i soggetti con comportamenti a rischio: tossicodipendenti, omosessuali e eterosessuali con rapporti a rischio (con prostitute, con partner multipli). È indicato nei politrasfusi e periodicamente negli operatori sanitari. È inoltre indicato in tutte le coppie che intendono andare incontro a una gravidanza e in tutte le donne incinte.

Come si fa il test
È sufficiente un semplice prelievo da una vena del braccio. Non è necessario il digiuno. Il test è su base volontaria (è richiesto il consenso del soggetto).

Come interpretare i risultati dell'esame
Se positivo va sottoposto a conferma con ulteriore test. Il test iniziale è quello con metodica ELISA che può in alcuni casi dare risultati falsamente positivi. Il risultato positivo deve quindi essere confermato con il test Western Blott. Quest’ultimo richiede un tempo maggiore e un lavoro più prolungato, ma è molto specifico per identificare le infezioni da HIV. Se anche questo è positivo il soggetto è definito "soggetto sieropositivo" e il paziente verrà indirizzato presso a un centro infettivologico di riferimento per completare le indagini (molto importante la conta dei linfociti "CD4" per valutare il grado di compromissione del sistema immunitario) e iniziare la terapia. Essere sieropositivi non vuol dire essere affetti da AIDS. Le terapie attuali consentono di vivere una vita normale nella maggior parte dei casi.

È importante che un soggetto sappia di essere sieropositivo per:
1) evitare comportamenti che possono mettere a rischio altre persone ricorrendo, per esempio, sempre all’uso del preservativo durante i rapporti sessuali;
2) iniziare precocemente la terapia.

Il «periodo finestra»
Se il test è negativo bisogna tener conto che nei soggetti che hanno avuto un recente contatto con il virus esiste il cosiddetto «periodo finestra», intervallo in cui il test è negativo perché gli anticorpi non si sviluppano immediatamente ma dopo diverse settimane dal contatto (da 3 mesi in su). In questo periodo il test è negativo, ma il soggetto può trasmettere la malattia. Quindi se il soggetto ha avuto un recente comportamento a rischio (per esempio un rapporto non protetto) il test deve essere ripetuto a 3 mesi di distanza dall'evento. È consigliato poi un secondo test di controllo dopo 6 mesi e un altro dopo un anno. Anche se non frequentemente, infatti, gli anticorpi possono impiegare più dei tre mesi canonici per formarsi. Da ricordare poi che un neonato che nasce da madre HIV positiva può continuare ad avere gli anticorpi materni in circolo fino a 6-12 mesi. In questa fase i test ELISA e Western blot risultano positivi.

















Corriere.it







 
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